Le diverse radici della presenza femminile nel sindacato (1880-1918), di Elena Musiani

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Quali furono le basi storiche del sindacalismo italiano a partire dalla seconda metà del XIX? In questo periodo il mondo dell’associazionismo democratico moltiplicò le sue esperienze affiancando a vecchi modelli aggregativi, legati ancora a forme di filantropismo ottocentesco, nuove forme di solidarietà e di emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Importante allora il ruolo delle donne: da patronesse di iniziative assistenziali a protagoniste della lotta per i diritti civili.

Which were the historical bases of Italian trade unionism from the second half of the 19th century? In this period, new forms of democratic association developed alongside older models, which were still bound to 18th-century philanthropism. These were new forms of worker solidarity and emancipation of both sexes. Important is also the role of women will be highlighted: from patronesses of assistance programmes to protagonists in the struggle for civil rights.


Affrontare una ricerca sulle sindacaliste emiliano romagnole prendendo le mosse dalla seconda metà del XIX secolo, quando ancora non è corretto parlare di sindacato in termini moderni, potrebbe sembrare un anacronismo. In realtà la scelta metodologica è stata quella di analizzare quella stagione storica in cui furono poste le basi per la realizzazione delle prime forme di organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici. L’arco cronologico che include l’ultimo ventennio dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento permette infatti di focalizzare l’attenzione sul periodo in cui il mondo dell’associazionismo democratico moltiplicò le sue esperienze affiancando a vecchi modelli aggregativi nuove forme di solidarietà e di emancipazione.
Alle ormai consolidate società di mutuo soccorso si andarono aggiungendo le società di resistenza, le leghe, le Camere del Lavoro, i sindacati e le cooperative. Anche le parole cambiarono o meglio si moltiplicarono: fraternità, filantropia, cura e assistenza, beneficienza, furono progressivamente affiancate da emancipazione, rivendicazione, lotta di classe, cooperazione. L’associazionismo significò sempre più non solo solidarietà ma anche capacità di intervenire a sostegno dei propri bisogni nella consapevolezza, che i lavoratori e le lavoratrici andavano acquisendo, di essere sempre più protagonisti del proprio riscatto.
In tutte queste istituzioni la presenza femminile può apparire minoritaria, ma studi recenti dimostrano invece che le donne hanno saputo farsi interpreti della propria crescita sociale economica e politica proprio a partire dalla loro partecipazione sempre più attiva all’interno di queste nuove realtà associative. Già dalla seconda metà del XIX secolo troviamo infatti figure femminili di notevole spessore quali realizzatrici di associazioni mutualistiche femminili e successivamente come presenze importanti nel mondo del sindacato.
Tra tutte queste associazioni una sola di fatto ha visto una scarsa presenza femminile: la cooperazione. Questo perché alle cooperative occorreva essere soci e in un nucleo famigliare solo uno poteva associarsi: ovviamente si trattava sempre del capofamiglia.

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Dal mutualismo alle moderne forme di associazione dei lavoratori

Una delle basi della partecipazione femminile può essere cercata nel mutualismo. Fenomeno sviluppatosi in Italia già negli anni Quaranta dell’Ottocento con la creazione di sodalizi maschili, le società di mutuo soccorso divennero presto un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale e videro crescere la presenza femminile. Fu già a partire dalla seconda metà del XIX secolo che si assistette alla creazione di società femminili, che inizialmente sorsero come sezioni dei corrispondenti sodalizi maschili ma che andarono poi sviluppandosi in modo sempre più autonomo. Gli interventi propri di queste associazioni riguardarono l’assistenza alle madri, ma anche l’organizzazione di corsi di cucito e maglieria, in un’ottica di progressiva emancipazione economica. Con un ritardo rispetto ai principali stati europei in cui queste esperienze mutualistiche si erano andate affermando (Gran Bretagna e Francia), anche in Italia i lavoratori e le lavoratrici cominciarono a organizzarsi per cercare di affrontare i problemi che accompagnavano lo sviluppo di un sistema produttivo che in assenza di interventi diretti dello Stato e di una legislazione sociale tendeva a aumentare i disagi e la precarietà. In Italia poi la nascita del mutualismo si inserì in un contesto economico che ancora per larga parte del XIX secolo rimase perlopiù fondato su attività legate all’agricoltura e che solo a partire dai primi decenni post-unitari vide la crescita dei primi fenomeni di proto-industrializzazione. Va tuttavia sottolineato che queste organizzazioni mantennero nel tempo il loro carattere assistenzialistico, aspetto che ne rende difficile l’assimilazione con associazioni di tipo pre-sindacale, poiché di fatto assente era nel mutuo soccorso l’idea di difesa degli interessi di classe. La scelta di inserire anche queste forme di associazioni nella ricerca deriva dunque dal loro intervento nella società in chiave di emancipazione.
Nel momento di massima espansione del mutualismo (anni Ottanta dell’Ottocento) i cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro imposero nuove scelte, compresa quella di costituire associazioni operaie di categoria e casse di resistenza capaci di mettere in grado gli operai di rispondere all’offensiva padronale. La diffusione dell’idea di resistenza fu propria in gran parte del campo operaista e socialista: quello che si voleva creare erano associazioni strutturate secondo i modelli organizzativi delle società di mutuo soccorso ma caratterizzate da valori nuovi, che facevano di esse non solo organi di assistenza e di difesa ma anche di attacco, di organizzazione e promozione di lotta. L’aspetto qualificante delle società di resistenza fu il fatto che esse rappresentarono per la prima volta un fenomeno di vasta portata che si diffondeva sia nei grossi centri industriali che nelle campagne. Le profonde trasformazioni di un’economia che da prevalentemente agricola si avviava verso l’industrializzazione, determinava conseguenti modifiche nella società e nel mondo del lavoro. L’accentuarsi del processo di proletarizzazione del ceto urbano, con analoghi riflessi nelle campagne, provocò l’accelerazione dello sviluppo del movimento operaio e pose le condizioni per il dispiegarsi di vere e proprie forme di lotta organizzata. Negli anni che vedevano in Italia una crescita della coscienza associativa e politica, strati sempre più ampi di lavoratori andavano maturando una coscienza sindacale e di classe. Alle società di mutuo soccorso – che proseguirono nelle loro attività assistenziali e previdenziali – si andarono affiancando un rete di società e di leghe di resistenza, uno dei nuclei del nascente partito socialista italiano.
In questa fase di passaggio che chiudeva il XIX secolo e apriva all’Italia giolittiana si assistette a profonde trasformazioni economiche e sociali che inauguravano una concezione moderna dell’associazionismo operaio e di una politica che era ormai lontana dalla democrazia risorgimentale di stampo mazziniano, dove assente era stata l’idea di lotta di classe. In questa società italiana di fine secolo un ruolo di primo piano spettava alle moderne forme di rivendicazione dei lavoratori: i partiti e in sindacati. In questo contesto anche la presenza femminile si arricchiva di nuove modalità di azione e di lotta, che avanzavano in primo luogo la richiesta per più ampie forme di partecipazione civile e politica. L’impiego femminile, che nelle campagne così come in quell’ampio e variegato mondo del lavoro a domicilio, era stato perlopiù caratterizzato da una scarsa valorizzazione sociale divenne elemento centrale delle rivendicazioni al centro dell’ondata di scioperi dei primi anni del Novecento.
Una stagione che contribuì inoltre a rendere più visibile la combattività e la maturata capacità organizzativa delle lavoratrici e che fece emergere figure femminili di grande rilievo: Maria Goia ad esempio, particolarmente impegnata nel ravennate a portare le lavoratrici delle campagne nel campo dell’azione sindacale. Ugualmente la ferrarese Alda Costa svolse propaganda tra le donne per la fondazione di circoli femminili socialisti, in un mondo in cui azione sindacale e azione politica andavano sovrapponendosi con caratteristiche che si sarebbero riproposte anche nel secondo dopoguerra. Le biografie di queste donne diventano ancora più interessanti se analizzate nel contesto storico-politico della Valle Padana, dove negli anni ’80 dell’Ottocento la crisi agraria che attraversò il paese fece emergere i problemi legati a uno sviluppo in senso capitalistico dell’agricoltura. Il deterioramento delle condizioni di vita dei braccianti e dei lavoratori delle campagne furono accompagnati da una presa di coscienza delle proprie sorti che sfociò in un serie di proteste che coinvolsero tutte le principali aree coltivate del nord del paese e che per la prima volta vide uniti nella lotta il mondo bracciantile e quello dei lavoratori dei centri urbani. L’importanza del mondo rurale nello sviluppo delle organizzazioni dei lavoratori è uno degli aspetti che l’analisi di questi profili femminili si propone e che emerge con forza anche nella biografia di Argentina Bonetti Altobelli. Figura emblematica di questo traghettare il movimento operaio dal mutualismo al sindacato, Argentina fu una presenza attiva all’interno della Società Operaia femminile di Bologna; nel 1893 divenne membro della Commissione esecutiva della Camera del Lavoro felsinea e si impegnò nell’organizzazione dei contadini e delle donne, fino a divenire Segretaria della Federterra.
Ulteriore elemento caratterizzante questo passaggio di inizio secolo fu rappresentato dalla nascita delle Camere del Lavoro sorte da una rottura con tutte le precedenti forme di associazionismo. Diverse dalle strutture organizzate del mutualismo borghese, diverse dalle stesse leghe e società di resistenza, le Camere del Lavoro nacquero in seguito all’aumento della disoccupazione dovuta alla crisi economica di fine Ottocento e mostrarono subito il loro carattere di ufficio di collocamento pubblico e gratuito. Così come e società di mutuo soccorso avevano trovato ispirazione dal modello associativo inglese quello delle camere si ispirò alle francesi Bourse de travail, strumenti di solidarietà intercorporativa, centri attivi di educazione sindacale, mezzi propulsivi delle conquiste operaie, liberi da ogni sorta di compromesso con i partiti e i movimenti politici.
Ancora una volta il mondo delle Camere del lavoro nasce come prettamente maschile: la questione sociale sembrava essere una questione non di genere eppure figure femminili di grande rilievo emersero anche in questi contesti: le già citate Argentina Altobelli, Alda Costa, Maria Goia, occuparono infatti ruoli dirigenziali all’interno degli istituti camerali.

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Presupposti per un percorso al femminile

Fondamentale diviene allora l’analisi approfondita di queste figure di donne che vissero questa stagione di passaggio da un’economia incentrata prevalentemente sull’agricoltura, a quella che vedeva l’Italia avviarsi verso una progressiva industrializzazione, accompagnata da quelle organizzazioni tipiche del mondo moderno. Biografie che fanno emergere come, in modi e tempi anche differenti, queste donne progressivamente uscirono dalla dimensione del privato – di una attività femminile che poteva svolgersi unicamente all’interno delle case – per affermare  progressivamente la loro presenza nel sociale. L’impegno femminile nel campo dell’assistenza e dell’impegno civile e politico passò per alcune forme di legittimazione (nelle Opere Pie ad esempio, e nelle Congregazioni di Carità, poi nel mutuo soccorso), fino a portare a un’azione sempre più attiva e incisiva nel mondo del lavoro. A partire dalla seconda metà del XIX secolo diverse furono le donne che agirono per il miglioramento della condizione dei lavoratori della terra e dell’industria, tutte consapevoli che le diverse forme associative costituivano un aiuto all’ottenimento delle principali rivendicazioni in materia di diritti civili.
Fonti principali utilizzate per questo arco temporale sono principalmente quelle conservate in primo luogo negli Archivi di Stato presenti nella regione Emilia Romagna, ma anche in archivi privati, conservati presso biblioteche e istituzioni locali e negli archivi sindacali. Per questo motivo le figure che sono prese in esame presentano caratteristiche differenti: dalle aristocratiche presidentesse delle prime società di mutuo soccorso femminile, alle donne che, nell’ambito delle prime organizzazioni partitiche di massa, agirono per migliorare la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici.
Figure diverse, dalle cui biografie è tuttavia possibile trarre alcuni elementi di similitudine.
Comune a molte è sicuramente l’attenzione mostrata verso la parola scritta. Alda Costa (“Bandiera socialista”), Maria Goia (“La nuova terra”), Argentina Altobelli (“La difesa delle lavoratrici”) e Ines Oddone (“La lotta di classe”) furono tutte collaboratrici e direttrici di giornali. Ciò dimostra la consapevolezza, presente in tutte queste donne, dell’importanza dell’istruzione per la formazione di quella che definivano la “donna moderna”, una donna capace di essere protagonista attiva all’interno della famiglia e della società, una donna emancipata non solo politicamente ma soprattutto economicamente. Ancora più della conquista del voto, tutte sottolineavano l’importanza della conquista di un lavoro qualificato, che doveva essere riconosciuto al pari di quello dell’uomo per dignità e salario corrisposto. Il lavoro era quindi il centro della loro propaganda politica, ma per acquisire una presenza professionalmente riconosciuta occorreva in primo luogo essere istruite. Era questa una consapevolezza che le donne avevano maturato sin da quelle prime esperienze associative ottocentesche nel mutualismo e che accompagnò l’emergere di una generazione femminile fortemente impegnata  nel mondo politico-sindacale.
Questo percorso volto a una progressiva emancipazione politica, economica e sociale era tuttavia destinato a scontrarsi con gli avvenimenti storici: lo scoppio della prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo. È indubbio che la condizione femminile fu fortemente influenzata dallo scoppio del conflitto che per il mondo del lavoro si tradusse da un lato in una massiccia immissione di manodopera femminile nell’attività produttiva e dall’altro contribuì a rendere visibile il fenomeno del lavoro femminile. Condizioni di lavoro più pesanti, unite alle difficoltà di gestire la quotidianità in tempo di guerra resero ancora una volta più decisa la partecipazione delle donne a scioperi e rivolte popolari (contro il carovita…), una protesta che si fece ancora più intensa nel dopoguerra contro la scelta di “rimandare a casa” le donne per fare posto ai reduci. In questo contesto storico si alzarono ancora più forti le voci di quelle donne che avevano maturato la loro esperienza politica negli anni di fine secolo e che ripresero ad agire in maniera ancora più netta nel sindacato: Maria Goia, rientrata nella sua Romagna dopo alcuni anni a Milano, accettò l’incarico di Segretaria della Camera del Lavoro, Argentina Altobelli fu in prima linea con la Federterra per sostenere le rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici bracciantili. Tutte queste figure erano destinate a scontrarsi negli anni successivi con l’avvento del regime fascista, rimanendo comunque sempre fermamente consapevoli della necessità di proseguire un cammino associativo e rivendicativo, che nella tradizione ottocentesca conservava le sue basi.

Seguire questo percorso di progressiva emancipazione sociale e politica al femminile, ha come scopo proprio quello di tessere nuovamente il filo rosso che unisce il moderno mondo del sindacato con le sue basi storiche. Significative a riguardo alcune parole pronunciate da Ernesta Galletti Stoppa, la figura che potrebbe sembrare la più lontana dalle sindacaliste di inizio XX secolo, ma la cui modernità emerge con forza da un percorso biografico che pose sempre al centro l’importanza del lavoro e dell’istruzione quali strumenti di emancipazione femminile. Queste parole la Stoppa le pronunciò nel 1892, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione della Società di mutuo soccorso femminile di Lugo che aveva contribuito a costituire:

uno dei più belli, nobili ed efficaci mezzi che il progresso offre alla donna per migliorare le sue condizioni economiche e morali è l’associazione, la quale estricandosi sotto le diverse forme del mutuo soccorso, della cooperazione, dell’istruzione e dell’educazione, presta i mezzi efficaci di ogni miglioramento.

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Nota bibliografica di riferimento

Dàm una mân”. Un’esperienza di democrazia sociale: mutualismo e solidarietà nella Bassa Romagna, Bologna, Bononia University Press, 1990.

Franco Della Peruta, Le origini del socialismo in Italia, Firenze, Le Monnier, 1980.

Maria Grazia Meriggi, Cooperazione e mutualismo: esperienze di integrazione e conflitto sociale in Europa fra Ottocento e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2005.

Guido Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’unità. 1848-1876, Roma-Bari, Laterza, 1996.


Elena Musiani ha ricostruito le biografie di:

Agnetti Bizzi Emma (1882-1960)

Bianconcini Cavazza Lina (1862-1942)

Bingham Gregorini Adele (1821-1898)

Boorman Wheeler Ceccarini Maria (1840-1903)

Carpena Dina (1879-1955)

Cavallari Cantalamessa Giulia (1856-1935)

Cocconi Carolina (?)

Costa Alda (1876-1944)

Craufurd Saffi Giorgina (1827-1911)

Fortunati Roda Linda (1894-?) – scheda elaborata con Simona Salustri

Franceschi Pignocchi Teodolinda (1816-1894)

Galletti Stoppa Ernesta (1850-1939)

Ghika Rasponi Costanza (1835-1895)

Goia Maria (1878-1924)

Hohenzollern Pepoli Federica Guglielmina (1820-1906)

Losi Delfina (1893-1972) – scheda elaborata con Simona Salustri

Melli Rina (1882-1955)

Menafoglio Désirée (?)

Meschiari Valentina (1889-1955)

Montaletti Anita (1891-1970) – scheda elaborata con Simona Salustri

Montali Maria (1889-1911)

Oddone Bitelli Ines (1874-1914)

Rasponi Spalletti Gabriella (1853-1931)

Reggianini Eleonora (1802-1885)